lunedì 5 agosto 2013

Ecuyer....nell'Arte Equestre Rinascimentale riparliamo Italiano!


L’écuyer è definito da François Baucher, nel suo Dictionnaire raisonné d’équitationpubblicato nel 1830, «l’uomo che sa addestrare un cavallo, condurlo con precisione, e rendere conto dei mezzi che gli hanno procurato questi risultati». Aggiunge che «è il professore capace di formare veri uomini di cavalli». I termini escuier (comparso nel 1080),escuyer (1549), écuyer (1701) derivano dal basso latino scutarius che ha il significato di «colui che porta lo scudo» (in francese écu). Solo dal XVII secolo ha preso in Francia il significato di «maestro di equitazione», poi quello di «colui che monta bene a cavallo». Il Littré, dizionario della lingua francese in sette volumi, elenca i seguenti significati per le lingue estere: spagnolo, escudero; portoghese escudeiro; inglese squire, italiano scudiero. Salomon de La Broue intitola la sua opera nel 1602 Le cavalerice françois e non l’escuyer françois, perché, scrive (pag. 10 del primo libro, edizione del 1686), «se la parola escuyernon significasse altra cosa in Francia che buon uomo di cavalli me ne sarei servito. Ma siccome si può adattare a molti altri significati ho trovato più rapido usare una parola straniera, avendo anche avuto il consiglio di alcuni amici molto capaci in quest’arte». I «molti altri significati» sono elencati sul Dictionnaire de la langue française di Emile Littré (1956), sul Dictionnaire de la langue française di Paul Robert (1959), in nove volumi. I significati sono: écuyer de cusine (1393), primo ufficiale della cucina del re o di un principe; écuyer tranchant (1429), colui che taglia la carne; écuyer de bouche (1680), che serve alla tavola de re; écuyer de main, colui che dà la mano a un principe o a una principessa per scendere da una vettura; o semplicemente écuyer, «l’intendente delle scuderie di un principe».  La parola straniera che usa La Broue è appunto cavalerice, derivata dall’italiano cavallerizzo o cavallarizzo. La Broue aveva lavorato cinque anni a Napoli con Giovanbattista Pignatelli. Osserva La Broue, a proposito dei termini che usa nel suo trattato (Le cavalerice françois, 1^ ed., La Rochelle 1593-1594; pag. 10 della 4^ ed., Paris 1646): «Poiché nella lingua francese quest’arte manca di termini appropriati, ho fatto ricorso alla lingua italiana, sia perché i Cavalieri ne fanno un uso più comune, sia anche perché i termini italiani hanno un non so che di più gagliardo, sono più significativi, e possono spiegare il significato con una sola parola, mentre ne occorrerebbero diverse per farlo capire in francese. Nondimeno poiché queste parole e altre dell’arte non sono conosciute da tutti i Francesi, ho voluto sollevarli da questa pena con la seguente interpretazione». Elenca, di seguito, quarantotto parole italiane francesizzate con a fianco la loro spiegazione, così come sono usate nel testo.

Rovesciamento della situazione. Oggi in Italia si fa ricorso alle lingue estere: il governo del cavallo diventa grooming, le gare di stile sono chiamate con la parola inglese equitation, il passeggio è chiamato passage, il piaffo o far ciambella, bellissima antica dizione, è diventato piaffer, i salti di scuola hanno perso il loro nome originale con il quale gli Italiani li hanno fatti conoscere in Europa (la corvetta, «corbetta» la chiama D’Aquino, è chiamatacourbette, la capriola cabriole, e via di seguito), lo stesso montare come si monta da secoli in Italia e dopo che gli Italiani hanno insegnato agli Inglesi come si monta a cavallo - si legga al proposito il duca di Newcastle – è definito non «all’italiana», ma «all’inglese». Pur avendo noi il nostro ricco ed esauriente vocabolario. Si tenga conto che nella prima metà del Cinquecento, comunque prima della pubblicazione della propria opera, aveva già insegnato in Francia Claudio Corte, autore de Il cavallarizzo, pubblicato nel 1562. Quindi aveva insegnato in Francia prima che Salomon de La Broue scrivesse il suo trattato, che è il primo dei trattati di equitazione scritti da un Francese. Il termine cavallerizzo ha perso con il tempo il significato nobile che aveva in origine in Italia di maestro di equitazione, di capo dei cavalieri di una scuderia principesca o reale. Molti illustri personaggi hanno portato questo titolo. Ne citiamo solo alcuni: Giovambattista Ferraro, autore Delle razze, disciplina del cavalcare, pubblicato nel 1560 a Napoli, era cavallerizzo di Don Antonio di Aragona; il figlio, Antonio Pirro Ferraro, autore del Cavallo frenato, pubblicato a Venezia nel 1620, era – è scritto sul frontespizio del libro - «cavallerizzo della maestà di Filippo II re di Spagna N.S. nella real cavallerizza di Napoli»; Lorenzino Palmieri, fiorentino, autore delle Perfette regole et modi di cavalcare, Venezia 1625, era «cavallerizzo del Serenissimo Granduca di Toscana»; il barone d’Eisemberg, autore de La Perfezione e i Difetti del Cavallo, Firenze 1753, era «direttore e primo cavallerizzo dell’Accademia di Pisa»; il primo direttore di equitazione della Scuola di Cavalleria italiana a Venaria Reale (il maestro Otto Wagner, 1825-1845) aveva il titolo di cavallerizzo capo; Enrico Conti, autore de L’ippossiade o L’accademico equestre (1823), era «cavallerizzo al reale maneggio di Torino». 

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