martedì 20 febbraio 2007

Pietro Abelardo


Il dodicesimo secolo rappresenta per l’Europa occidentale un periodo di sviluppo: sviluppo politico ed economico, con il sorgere della civiltà comunale e l’aumento dei rapporti commerciali con l’Oriente bizantino e musulmano. L’applicazione dell’aratro asimmetrico porta ad un netto miglioramento delle rendite agricole, mentre la fine della lotta per le investiture con il concordato di Worms, scandisce un momento di tregua nelle lotte di potere tra Impero e Papato. La Francia diventa il centro culturale dell’Europa, ed in particolare Parigi, con lo spirito di ricerca razionale tipico del popolo franco, è senza dubbio il cuore degli scontri intellettuali più intensi. Essi diventano difficili da gestire in questo contesto storico, in quanto la materia dello scontro è la fede cristiana.




Perciò lotte e accuse di eresia, fughe e riprese, scontri fisici e verbali, riconciliazioni ed interventi di vescovi ed abati in materia filosofica sono un po’ il pane quotidiano di un secolo che prepara il grande periodo della Scolastica. In tal senso il XII secolo è ricco di forti personalità, sia dalla parte dell’impero, sia da quella del papato, sia in quello della spiritualità e della ricerca teologica. Ed in questo ambito si inseriscono due figure emblematiche del Medio evo, Pietro Abelardo e S. Bernardo di Chiaravalle.


Oggi, sull’onda del razionalismo e del laicismo che ormai è nostro patrimonio comune, si è molto rivalutata la figura di Pietro Abelardo, applicando però un etichetta che non può essergli attribuita. Egli sarebbe cioè il primo intellettuale cristiano che vuol razionalizzare la fede, e che usa la sola ragione per risolvere problemi teologici. In particolare la sua opera più famosa “Sic et non” sembra essere quasi un’anticipazione del razionalismo cartesiano o dell’illuminismo di Voltaire. Ma così non si fa che applicare una forma mentale che è nostra e che non fu del geniale bretone. In una sua famosa lettera ad Eloisa egli confessa “La logica mi ha reso odioso al mondo…ma io non voglio essere filosofo per oppormi a Paolo, né essere un Aristotele per separarmi da Cristo”. Egli comunque ha un grande senso di sé, è un combattente della ragione; in un’epoca di cavalieri e di armi, di alta tecnologia militare, egli sviluppa l’alta tecnologia della ragione, la logica. Con la forza della ragione e la grande capacità di comunicare, egli ben presto diventa un maestro acclamato e rifiutato al tempo stesso: una folla di studenti, affascinati dalle sue lezioni, pagano profumatamente per frequentare le lezioni a Sainte Genevieve o alla cattedra di teologia della scuola di Notre Dame, mentre le autorità ecclesiastiche sono preoccupate per la sua capacità di mettere in luce la ”illogicità” della fede.

“Credo quia absurdum”, la celebre frase di Tertulliano diventa perciò la ragione della fede secondo Abelardo. Sono questi gli anni tempestosi dell’amore per Eloisa, giovane e bella allieva, per il cui Abelardo subirà una tragica vendetta dei parenti. Una vita movimentata, quella di Abelardo, ma segnata dal genio filosofico.
Vi confesso che, leggendo le opere di Abelardo, e la sua vita, come anche la condanna del concilio di Sens portata a compimento per opera di S. Bernardo di Chiaravalle, tutto ciò sembra molto distante. Oggi la filosofia o la teologia entrano nella fede in maniera molto marginale: i cristiani sono soprattutto persone impegnate nella preghiera, nel volontariato sociale, nelle missioni. Se c’è una riflessione sulla fede, essa è di tipo psicologico, più che filosofico. Ma all’epoca le questioni di concetto tenevano banco, ed una in cui Abelardo intervenne fu quella del significato dei concetti universali. Quando esprimo un concetto universale (il concetto di uomo p.es.) è reale o è solo un nome convenzionale? Infatti io ho di fronte, in realtà, tante persone diverse. Abelardo risponde con un concetto di tipo modale: i concetti e le proposizioni non esprimono le cose, ma le relazioni tra esse, il modo in cui sono collegate. Così io prendo dalla realtà dei singoli le nozioni generali, che però di fatto esistono solo nella mia mente: è il concettualismo, che caratterizza tutto il pensiero di Abelardo.

Un po’ difficile, eh? Ma l’opera per cui egli rimane famoso è il celebre Sic et non (sì e no), in cui analizza 150 problemi teologici, mettendo vicino ragioni a favore e contrarie, senza dare una soluzione. Egli si accorge che i Padri, nell’esprimere il loro pensiero, si sono a volte contraddetti, anzi queste contraddizioni sono presenti anche nel testo biblico. Dato per certo che la parola di Dio è infallibile, pensa Abelardo, molto probabilmente gli scrittori della Bibbia o i Padri della Chiesa, per non ripetere le stesse parole, per questioni di contesti diversi o di situazioni diverse, hanno espresso concetti che solo apparentemente sono contrastanti. Questo sistema di analisi logica e filosofica verrà ripreso, ampliato e corretto da S. Tommaso d’Aquino nelle sue Summae, fatte appunto di quaestiones (domande) e risposte, obiezioni e soluzioni. E’ un metodo rivoluzionario per l’epoca, in quanto si vuol risolvere con la logica le contraddizioni apparenti presenti nella tradizione dei Padri. Con Abelardo nasce quindi il concetto di contesto letterario, di significato delle parole riferito ad autori diversi, e il metodo del dubbio :”Dubitando arriviamo alla ricerca, e cercando percepiamo la verità” (Sic te non, Prologo). Il fatto è che Abelardo, come anche S. Anselmo, o Bernardo di Chartres, o Gilberto Porretano, o Roscellino, o Guglielmo di Champeaux si trovano stretti fra la fede ed il desiderio di renderla comprensibile agli studenti, senza avere gli strumenti filosofici per una visione equilibrata, tra fede e ragione. Solo un secolo dopo, con la traduzione dell’ Organon e degli scritti di metafisica aristotelica si aprirà la grande epoca della Scolastica, con tutte le sue conseguenze, positive e negative.

Per cui la lotta che S. Bernardo di Chiaravalle sostenne vittoriosamente contro Abelardo, con la condanna del Sinodo di Sens (1140), non è affatto lo scontro tra oscurantismo religioso e razionalismo laico e liberale, visione che appartiene all’Ottocento, non certo al Medioevo. Tant’è che la ricerca delle ragioni della fede non si fermerà, anzi porterà ancor più lontano. Ma Abelardo precorreva i tempi, quando egli vuol discutere il principio dell’autorità, veramente importante per il Medioevo, cioè la trasmissione della verità di fede attraverso i secoli. Qui egli si era accorto che c’erano contraddizioni nelle affermazioni dei teologi cristiani e dei Padri, contraddizioni apparenti, s’intende, che egli presenta nel Sic et non; il suo errore è però quello di non risolverle, mettendo così in crisi il concetto importantissimo di tradizione, che nell’ambito della fede non è il tradizionalismo, ma significa la trasmissione della verità di fede in Cristo per ispirazione dello Spirito Santo. Egli attribuisce all’autorità il ruolo di guida a coloro che non sanno rendere ragione della propria fede: “Intanto, finché la ragione rimane nascosta, basti l’autorità e si mantenga l’importantissimo e notissimo principio della forza dell’autorità” ( Theol. Christ. III). Ma la ragione ha un suo ruolo importante “Tutti sappiamo che non è necessario il giudizio dell’autorità in quelle cose che possono essere discusse con la ragione” ( ibid.). Notiamo comunque che egli titola la sua opera più famosa Sic et non (Sì e no), e non Sic aut non ( Sì o no). Quindi la sua intenzione non è quella di portarsi sul piano della logica pura; la fede gioca ancora un ruolo fondamentale, ma la ragione in lui si chiede come risolvere le contraddizioni testuali.


“Abelardo aveva uno spirito lucido e un cuore generoso. La rivelazione cristiana non è stata mai per lui la barriera insormontabile che divide gli eletti dai dannati e la verità dall’errore. Abelardo conosce i passaggi segreti dall’una all’altra e gli piace credere che gli antichi (filosofi) ch’egli ama li abbiano già trovati.Egli stesso passa dalla fede alla ragione con una candida audacia di cui Guglielmo di San Teodorico e san Bernardo di Chiaravalle hanno avvertito troppo vivamente le conseguenze per potergliela perdonare” (Etienne Gilson, La filosofia nel Medio evo, La Nuova Italia, giugno 2000, p. 353).


Fonte: http://www.medio-evo.org/abelardo.htm

Nessun commento: