domenica 8 marzo 2009

Aristotele contro Averroè


E' oramai consueto il mio appuntamento di sabato con mia figlia per andare in centro in Libreria per verificare le ultime uscite che potrebbero evetualmente interessarmi. Ieri mi son trovato nuovamente in questa circostanza e mentre mia figlia girovagava per la grande libreria in cerca del suo libro, io mi soffermavo su uno di cui avevo sentito parlare e del quale mi ero interessato in merito agli studi per la realizzazione del mio prossimo e famoso libro.

Ho già cominciato a leggerlo e devo dire da "tradizionalista" quale io mi ritengo, che è molto promettente. Credo di dvorarlo nel giro di questa settimana e piu' approfonditamente vi darò alcune delucidazioni e pareri.
Intanto vi posto una recensione presa dal web che sicuramente desterà la vostra attenzione sia come cristiani che come Tradizionalisti:

IL LIBRO SULL’INCONTRO TRA DUE CIVILTÀ CHE HA FATTO DISCUTERE L’EUROPA INTERA.

Come cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco.

Chi restituì la sapienza greca all’Occidente? La controversa rivalutazione del ruolo dell’Islam nell’incontro tra Medioevo e cultura classica. La cultura greca non tornò all’Occidente solo grazie all’Islam: a salvare dall’oblio i filosofi antichi sarebbe stato innanzitutto il lavoro dei cristiani d’Oriente, caduti sotto dominio musulmano, e dunque arabizzati.
Questo sostiene il medievista francese Sylvain Gouguenheim ricordando come, prima delle traduzioni dall’arabo effettuate in Spagna, autori quali Giacomo Veneto avessero già messo mano alle opere aristoteliche. La civiltà islamica, inoltre, non avrebbe mai dimostrato un vero interesse per la sapienza greca: da parte musulmana si sarebbe trattato più che altro di un approccio selettivo, forte nei settori della logica o delle scienze della natura ma debole, per non dire inesistente, sul piano politico, morale o metafisico.
In un libro documentato e appassionatamente argomentato, che non ha mancato di suscitare violente polemiche tra gli specialisti, Gouguenheim ricostruisce il percorso dei greci e di Aristotele in particolare nel Medioevo. E riconsegna all’Europa il merito di uno sforzo culturale che solo in tempi recenti, anche per ragioni ideologiche, si è voluto ascrivere all’Islam.

Io spero di trovare nuovi spunti per il mio "Intelligo Ut Credam" che solo Dio oramai sa perfettamente quando vedrà finalmente la luce.

Un inchino a tutti Voi nella speranza che possiate sempre approfondire e difendere non solo la Cristianità ma anche la Tradizione.

DEUS VULT !!!
Roberto da Amalfi


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Il libro di S. Gouguenheim “Aristotele contro Averroè” da voi improvvidamente pubblicato è un tipico prodotto di questi tristi tempi: tanto furbo e ammiccante nei confronti della funesta teoria dello scontro di civiltà quanto del tutto ifondato dal punto di vista storico e filologico. Ma ciò che più colpisce l'addetto ai lavori è il massacro a cui nel testo sono sottoposti i termini arabi (compresi i nomi propri), traslitterati (?) senza alcun criterio compatibile con un minimo di logica e di scientificità. Complimenti al sedicente arabista Alessandro Vanoli, "consulente scientifico per la lingua e la cultura araba": sarebbe stato difficile fare peggio di così.

Cordiali saluti,

marco Di Branco

Docente di Storia bizantina Università di Roma “La Sapienza”

Roberto da Amalfi ha detto...

Spett.le Prof. Di Branco,

innanzitutto la ringrazio per il suo prezioso intervento e mi prometto quando ho finito il libro di commentarlo adeguatamente anche in riferimento al Suo approfondimento.

Ora non sono assolutamente in grado di dare alcun giudizio sul libro non avendolo ancora letto, ma mi interessava il tipo di approccio dell'autore entrato in difesa dlla tradizione occidentale.

Io non sono per la cancellazione della cultura araba, anzi... ma mi faceva piacere mettere qualche volta in evidenza anche la cultura occidentale.

Colgo l'occasione per chiederle cosa ne pensa del libro : Bisanzio di J. Herrin. E' stato il mio primo ibro sui Bizantini.

Saluti,

Roberto da Amalfi

Roberto da Amalfi ha detto...

In attesa del contatto dell'esimio professore, volevo aggiungere altri elementi in merito a codesto libro:

La tanto enfatizzata mediazione araba fu un fattore secondario
Avvenire 17/1/2009 di DANIELE ZAPPALÀ
La Redazione Saturday 17 January 2009


Arriva in Italia il saggio di Gouguenheim che ha diviso la Francia: «La tanto enfatizzata mediazione araba fu un fattore secondario»
Eredità greca: l’islam non conta?
A giudicare dall’uragano polemico scatenatosi in Francia dopo la sua pubblicazione, la scorsa primavera,
Aristotele al Mont Saint Michel, del medievalista transalpino Sylvain Gouguenheim, ha indubbiamente toccato uno o più nervi scoperti.
Ma quante di quelle diatribe erano in realtà dovute allo specifico contesto, culturale e accademico, d’Oltralpe? Con l’uscita il 23 gennaio in Italia del saggio, per Rizzoli con il titolo Aristotele contro Averroè, una parte del mistero sarà forse fugata. Le tesi principali difese dallo studioso, docente a Lione della prestigiosa Scuola Normale, sono in sostanza due confutazioni.
In primo luogo, nella trasmissione medievale verso l’Europa del corpus filosofico e scientifico della Grecia classica, il ruolo degli intellettuali islamici non fu preponderante. Vi furono, infatti, altri canali paralleli o persino anteriori almeno altrettanto importanti. Più in generale, sostiene poi l’autore, non corrisponde alla realtà storica la tesi diffusa secondo cui, fra i secoli VIII e XII, l’Europa smarrì il ricordo dell’eredità greca. In secondo luogo, il preteso 'illuminismo' islamico medievale tradizionalmente simbolizzato dalla figura del gran sapiente Averroè (1126-1198) corrisponde anch’esso a un mito costruito a posteriori. Per provare la molteplicità dei canali di trasmissione del sapere classico, e in particolare di quello aristotelico, Gouguenheim sottolinea quanto avvenne prima del Duecento presso il complesso benedettino del Mont Saint Michel. Nel monastero, vennero tradotte diverse opere di Aristotele direttamente dal greco al latino, talora in anticipo rispetto ai lavori compiuti nella Toledo di Averroè. Secondo Gouguenheim, fra gli eruditi 'francesi' si distinse in particolare Giacomo da Venezia (scomparso forse nel 1150), forte di un lungo soggiorno nell’Oriente greco. Inoltre, la circolazione di queste traduzioni fu significativa, almeno per l’epoca. La Fisica di Aristotele, ad esempio, venne riprodotta in più di cento esemplari, inviati perlopiù alle corti e ai principali centri culturali europei. Come prova della permanenza nei secoli di Aristotele in Europa, poi, Gouguenheim cita fra l’altro il caso della Sicilia, dove la circolazione di opere classiche in greco non venne mai proscritta. Pur fra naturali fluttuazioni storiche, in sostanza, il cordone fra la cultura greca classica e l’Europa medievale non fu mai reciso. La seconda tesi di Gouguenheim si concentra sul cosiddetto aristotelismo islamico, in particolare da Avicenna (980­1037) fino ad Averroè. Lo storico cerca di mostrare che il dialogo sviluppato fra fede e ragione, in contesti musulmani come quello della Toledo del XII secolo, si fece sempre a scapito del secondo termine. Sarebbe dunque illegittimo parlare di un illuminismo islamico ante litteram, dato che non emerse un pieno razionalismo musulmano. Un dialogo franco fra fede e ragione avrebbe invece preso quota solo durante i secoli successivi, soprattutto nell’Europa cristiana.
Fin qui il testo, presto soffocato in Francia dal contesto. Dopo qualche recensione lusinghiera sulla stampa, da Le Monde al Figaro, il libro è poi finito al centro di una sorta di 'faida' fra intellettuali: messo all’indice da frange del mondo accademico – con appelli di proscrizione collettivi e attacchi quasi ingiuriosi –, Gouguenheim ha trovato al contempo avvocati del calibro di Jacques Le Goff, indignato dagli schiamazzi censori. A quanto pare, non è piaciuto a tutti il sottotitolo del libro: 'Le radici greche dell’Europa cristiana'. E in proposito, Gouguenheim ha interpretato così il gran polverone: «Non appena si parla d’identità dell’Europa o dell’islam, anche nel Medioevo, e si esprimono argomenti non conformi al clima corrente, ci si espone alle polemiche». Polemiche, in effetti, presto trasportate più o meno ad arte sull’ormai vecchio fronte che oppone 'etnocentristi' e 'multiculturalisti'. In altri termini, i difensori di un’identità forte dell’Europa e coloro che, invece, enfatizzano le radici culturali 'plurali', se non 'disparate', del Vecchio continente. Si tratta, com’è noto, di un dibattito appassionante, ma minato spesso da posizioni preconcette, quando non chiaramente usurpato dalle prevaricazioni ideologiche. Come leggere, allora, il saggio di Gouguenheim? Definendolo 'libro di divulgazione', l’autore – più specializzato in altri rami della storia medievale – non invoca meriti scientifici: «Mi rivolgo al grande pubblico e non agli specialisti, dato che produco elementi già noti». Per Seuil, l’editore francese, si tratta soprattutto di un «libro nello stile del pamphlet», volto ad «aprire il dibattito su quest’interessante questione delle radici greche dell’Europa». Per prepararsi ad una lettura serena, converrà forse tener presente la riflessione del grande filosofo Rémi Brague, che ha scritto un’ampia analisi appena uscita sulla rivista Commentaire e che sarà pubblicata in Italia da Vita e Pensiero. Il saggio, a suo giudizio, risulta indispensabile al dibattito, dato il lodevole proposito di Gouguenheim: «Si è messo in collera contro quest’idea che fa sempre tanto rumore presso un certo milieu mediatico, secondo la quale noi dobbiamo tutto agli Arabi». Ma l’impianto argomentativo, avverte Brague, presenta crepe soprattutto nella seconda parte: «La sua debolezza consiste nel recupero acritico dello stereotipo della ragione greca, come se la Grecia avesse avuto il monopolio della ragione».

COMMENTO: libro meritorio che comincia a demolire la costruzione ideologica dell' islam civile e brillante e aperto e mediatore di culture fino alla involuzione dovuta ad Al-Ghazal e seguaci.
La ben nota tesi sull'importanza dell'islam per la civiltà europea comincia a mostrare la corda.

Roberto da Amalfi ha detto...

Da un altro Blog Medievale:

Ricevo da Alessandro Vanoli, chiamato in causa nel commento di Marco di Branco, le seguenti precisazioni che inserisco con piacere in queste note:


Gent.mo Marco di Branco


Normalmente non faccio il difensore d’ufficio per i
libri che curo, ma solo per i miei. In questo caso, però, essendo stato
chiamato in causa direttamente mi permetta una breve risposta. Riguardo ai
contenuti neppure io li condivido, ma la Rizzoli, come sa, è una casa generalista e
pubblica spesso subodorando le possibilità di vendita. Certo, avrei potuto
rifiutarmi di collaborare, ma in questo caso, se permette, l’obiezione di
coscienza mi sarebbe sembrata una scelta un po’ drammatica (soprattutto
considerando la media dei libri pubblicati in Italia…non sto parlando
ovviamente di letteratura scientifica in questo caso). Venendo invece al mio
ruolo di “sedicente arabista”, non ho nessuna intenzione di mostrarle
i titoli di una decente carriera (li trova sul sito dell’università di
Bologna), permetta solo che qui le esponga i problemi incontrati. Il testo francese
presentava una traslitterazione dei termini arabi a dir poco problematica (più
della mia, dirà lei…): Gouguenheim, che evidentemente non conosce l’arabo,
si appoggiava a differenti criteri a seconda dei libri incontrati. Talvolta
comparivano le lunghe talvolta no, talvolta figuravano le ‘ayn, talvolta
no, la jim era traslitterata alla francese con dj ma anche con g o j…insomma
una situazione difficile. Tenga conto che la Rizzoli, proprio perché casa generalista e
rivolta esplicitamente a un pubblico di non addetti ai lavori, si rifiuta di
mettere i diacritici sotto delle lettere e fatica comprensibilmente a inserire trattini
o spiriti particolari. Da ultimo, la decisione presa a monte era di non
modificare sensibilmente il testo dell’autore (di non cambiare cioè
esplicitamente il “sistema” di traslitterazione incontrato). E così
ho deciso semplicemente di semplificare il più possibile, eliminando almeno la
visibile confusione delle vocali lunghe, ma lasciando intatti (e di questo ora
non sono particolarmente contento) alcuni “criteri” adottati dall’autore
- comprese alcune confusioni tra hamza e ‘ayn – e modificando solo
nei casi dove la traslitterazione avrebbe creato evidenti problemi di lettura a
un non arabista (come nel caso di dj > j). Questa decisione era legata anche
e soprattutto alla convinzione che occorresse mostrare senza filtri, diciamo
così, gli strumenti utilizzati dall’autore anche nei loro limiti…non
avevo valutato forse che questo sarebbe andato più a scapito mio che suo…(lo
pseudonimo mi sembra sempre una vigliaccata, ma in questo caso forse ci stava).


Cordialmente


Alessandro
Vanoli